Dagli album di figurine d’arte ai musei d’arte antica: ti dico cosa significa per me divulgare l’arte senza rischiare di banalizzarla.
Ormai sono parecchi anni che lavoro con scuole e famiglie portando il mio progetto di divulgazione storico-artistica tra i banchi delle classi, sui parquet delle sale prova delle associazioni di teatro, per strada o dentro ai musei. Mi sono fatta un po’ di esperienza e ad oggi mi sono fatta anche un’idea di come possiamo rapportarci all’arte quando non la conosciamo.
Parlo per gli adulti: i bambini solitamente non hanno pregiudizi e si confrontano con l’arte con schiettezza, pragmaticità e molta sana curiosità.
Gli adulti invece ne sono spesso impauriti. Anche quando c’è reale interesse e attrazione, càpita che prevalga il timore di non capire, non sapere, non potere. Capita anche a te?
Quanto stupore e ammirazione, per esempio, davanti alla Primavera di Botticelli! Ma poi succede più o meno questo nella testa di chi osserva: “sì ma qual è la primavera? quella al centro o quella che sparge i fiori? e perché all’altra esce un tralcio di bocca? e poi quando è vissuto Botticelli? e dove si trova questo dipinto che non mi ricordo?”. E via dicendo verso un ipotetico infinito vortice di domande senza risposta.
La reazione può essere un progressivo allontanamento dall’arte, un accantonamento a favore di altri interessi più a portata di mano.
Si tratta di scarsa perseveranza? Svogliatezza? Incapacità personale? Non direi proprio!
E la colpa allora di chi è?
Se è vero che l’arte del passato tocca tasti invisibili dentro di noi e parla spesso alla nostra parte più istintiva e genuina, è vero anche che c’è tutto un vasto contorno che non può essere affidato a sensazioni e istinto, ma presuppone una conoscenza. Cioè: se io guardo la benedetta Primavera può succedere che mi emozioni, che mi senta smuovere un sacco di sensazioni gradevoli e magari mi si inumidiscono addirittura gli occhi, ma non è che per una naturale reazione a catena saprò darmi poi le risposte alle domande che nascono spontanee. Dovrò leggerle da qualche parte, qualcuno dovrà darmele.
Chi?
Sulla carta sono gli storici dell’arte che, per definizione, studiano e diffondono la storia dell’arte, ma spesso accade che si dimentichino il secondo passaggio: studiano e bene, ma poi diffondono?
Dagli anni dell’università ho imparato che non sempre è così, non è detto che chi studia sia poi in grado di condividere il proprio sapere con gli altri. O meglio lo fa per un pubblico di specialisti ed ecco che l’arte resta una materia per pochi (se vuoi tradurre con snob fallo pure, è così), che il vasto pubblico non sembra degno di meritare.
Basterebbe divulgare
Parlando di storici dell’arte forse ti verranno in mente personaggi arcinoti come Vittorio Sgarbi o Philippe Daverio, “facce da televisione”: il primo ha ormai ben poco a che fare con la storia dell’arte, il secondo è durato relativamente poco in TV, ma il suo Passpartout è stato un appuntamento attesissimo delle mie domeniche e la cosa più vicina alla divulgazione storico-artistica che ho in mente, seppur un’infarinatura di storia dell’arte è necessario averla per comprenderlo.
Questo vale anche per i raffinatissimi documentari affidati di recente a Tomaso Montanari su Rai5: Montanari è uno storico dell’arte davvero in gamba ed è in grado di raccontare con ricchezza le storie che si nascondono dietro i quadri, ma probabilmente non è per tutti (ed è normale così!).
E dunque cosa significa divulgare?
Il dizionario specifica “rendere noto a tutti o a molti” e “rendere accessibili a un più vasto pubblico, per mezzo di un’esposizione semplice e piana, nozioni scientifiche e tecniche”. Credo di non sbagliare dicendo che questo vale oggi anche per questioni non puramente scientifiche.
La mia proposta di divulgazione
In sostanza se oggi ancora risulta difficile accostarti alla storia dell’arte senza sentirti ignorante, manchevole o imbranato, non è detto che sia colpa tua, forse semplicemente difficile è trovare chi l’arte sappia raccontartela con semplicità e partendo dall’inizio.
Per questo non trovo nulla di condannabile in iniziative come quella recente di Artonauti, il primo album di figurine dell’arte pensato per i bambini, che sta riscuotendo molto successo. Me li immagino le mamme e i papà che assistono i loro bimbi nell’applicazione delle figurine e già che ci sono danno una sbirciatina a immagini, nomi e luoghi.
Può essere semplicemente un primo spunto, una piccola scintilla per riaccendere l’interesse verso una materia magari poco frequentata.
E qui vengo al punto: sono proprio i bambini la chiave di tutto.
Se parlo chiaro ai bambini parlerò chiaro anche ai loro genitori, se mi farò comprendere dai piccoli mi comprenderanno anche i grandi.
Questo è proprio quello che succede quando accompagno un gruppo di famiglie nell’osservazione di un’opera d’arte: mi rivolgo ai bambini ma gli adulti mi ascoltano, osservano e talvolta scoprono qualcosa di nuovo anche loro, comprendono aspetti tralasciati in altre occasioni, finalmente possono domandare senza imbarazzarsi troppo perché il contesto è protetto e alla portata di tutti. È come un piccolo seme gettato in un terreno che aspettava proprio questo.
Ci tengo infine a dire che parlare ai bambini non significa banalizzare, raccontare cose inesatte e inventare chissà quali storie. Significa piuttosto mettersi nei loro panni, anche fisicamente – perché osservare un’opera d’arte dal basso non è la stessa cosa che farlo dall’alto – e poi semplificare un racconto concentrandosi sull’essenziale, mettendo in luce poche e basilari priorità. Se questo è il punto di partenza sarà sempre possibile andare più in profondità e proseguire osservazione e spiegazione in base alla ricezione di chi ci sta ascoltando.
E tu cosa pensi? I bambini possono essere un canale privilegiato per una prima divulgazione anche agli adulti?
La foto di copertina è di Mathilde Merlin via Unsplash.